Un complicato atto d’amore di Miriam Toews fa parte della mia personale lista di romanzi che raccontano di famiglie disfunzionali.
Ma se possiamo morire senza neanche aver capito perché, forse possiamo vivere senza capire fino in fondo come.
Nomi, la protagonista, vive a East Village, un piccolo paese di religione mennonita. A distanza di poco tempo una dall’altra, sua sorella e sua madre lasciano la comunità. Nomi non avrà più nessun contatto con loro. Conduce una vita inquieta, frustrata, insoddisfacente, ma rimane per potersi prendere cura di suo padre. Un uomo mite, che crede nella filosofia di vita proposta dalla religione che ha deciso di seguire.
Nomi invece prova un forte senso di estraneità per l’intera comunità religiosa, per la vita che conducono. È fortemente critica nei confronti delle loro regole, che comprende ma non condivide, percependone i limiti e le ipocrisie.
La storia affronta argomenti come la libertà individuale, la ricerca dell’identità e il senso della vita.
Quello che rende davvero coinvolgente la storia rimane lo stile narrativo: la capacità di scegliere le parole giuste ci immergono completamente nelle esperienze, nei pensieri e nelle sensazioni della protagonista. Riuscendo ad immedesimarci nel suo flusso di coscienza.
Una storia dolorosa, dove è l’amore a creare dolore. Dove è l’amore a chiudere il cerchio, quando anche il padre di Nomi deciderà di abbandonare la comunità per permettere alla figlia di essere libera.
Lasciamo Nomi ancora in quella casa infine deserta, svuotata anche dai mobili, con in mano il contratto di proprietà di quella abitazione che non è più zavorra. La può vendere e partire: non c’è più nulla che la trattiene, nemmeno materialmente. Solo l’amore la tratteneva, ma come dice il titolo, l’amore è complicato.
E il sentimento di abbandono che serpeggia in ogni pagina, in ogni dialogo, diventa l’epilogo che non desideri, ma che risulta necessario.