Ho comprato Un karma pesante su una bancarella, l’estate scorsa, folgorata dall’incipit della seconda di copertina:
“Quando ha sentito che a novembre compio quarantadue anni mi ha guardata negli occhi e ha detto: ‘Quarantadue è un multiplo di sette. Sarà un anno di grandi cambiamenti: stai pronta, Eugenia’.”
Non mi chiamo Eugenia e compio gli anni in settembre, ma avrei compiuto quarantadue anni dopo soli quindici giorni. Mi è sembrato un segno del destino, e ho comprato per la prima volta un libro scritto da Daria Bignardi.
Che delusione questa narrazione. Nessuna magia nel raccontare la vita di Eugenia, solo dei fatti in sequenza. Una sorta di lista della spesa. Ogni tanto ci si perde, e si deve fare mente locale in che anno si trova la protagonista. La sequenza temporale è così marcata all’interno del romanzo, che mi sono ritrovata a cercare congruenza fra i fatti narrati, invece che godermi la storia della protagonista.
La protagonista: o è stata raccontata male o è davvero una brutta persona. È una donna che ha tutto, ma lo spreca, lo sciupa, lo tratta male, lo getta via, salvo poi pentirsene e pensare di sé stessa di non essere mai all’altezza della situazione.
Una donna di buona famiglia, che però frequenta i meno abbienti, immagino solo per far dispetto ai suoi genitori.
Una donna ambiziosa che però si descrive come una che arriva a posizioni sociali elevate accidentalmente.
Più di tutto, nella narrazione, quello che ho detestato della protagonista è stato proprio questo sottolineare in maniera continua come tutto quello che ha sia arrivato in maniera casuale.
In maniera casuale è diventata una regista. In maniera ancora più casuale, ha anche avuto un grandissimo successo.
In maniera casuale conosce solo uomini ricchi. In maniera casuale conduce una vita al di sopra delle possibilità della maggior parte delle persone.
Diffido da sempre delle persone che affidano la motivazione dei loro successi al caso o alla fortuna.
Sono un insulto a chi si fa un mazzo tanto nella vita, spesso solo per raggiungere la metà dei traguardi che si prefiggono.
Forse la parte più odiosa quando descrive uno dei suoi ex che consuma dei frutti per cui ho scomodato il vocabolario per verificarne l’esistenza: i chichingeri. Ignoranza mia, certo. Ma che persona è una che mangia dei frutti così enigmatici?
Sono a metà della lettura e non so se investire ancora del tempo in questa lettura così deludente, oppure arrendermi all’evidenza ed abbandonare.
Ma credo proprio che mi appellerò all’articolo 3 dei Diritti del lettore stilato da Daniel Pennac: il diritto di non finire un libro.
Da quel poco che hai scritto io avrei già abbandonato il libro!
La protagonista non mi piace per niente 🙁
@Lara C questa storia non è proprio nelle mie corde. Non escludo che a qualcuno possa piacere di leggere di una donna ricca, viziata, volubile e lamentosa.