L’Arminuta è una storia capace di toccare l’anima, pur essendo scritta con uno stile secco e pungente.
Ecco perché ho letto l’ultima riga asciugandomi qualche lacrima. Ecco perché la lettura mi ha lasciata invece in sospeso, come se fossero di più le cose non scritte che quelle che mi passavano sotto gli occhi.
Dopo averne letto commenti meravigliosi ed estasiati, ho subito accettato l’offerta della maestra di Niccolò per un prestito. Anche lei era stata rapita dalla parole della scrittrice, ed ero ormai troppo curiosa per non leggerlo anche io.
La lettura non è stata esattamente scorrevole. Le parole si incastravano in una modo che, spesso, è stato necessario leggere più volte per comprenderne il senso. Ma forse è solo colpa mia, affezionata ad un tipo di narrazione più ad ampio respiro. Quel tipo di narrazione che spiega, racconta, dipinge a grandi pennellate affreschi in cui ogni dettaglio è chiaro agli occhi. La scrittura della Di Pietrantonio assomiglia invece più a qualche quadro impressionista: qualche pennellata di colore, molto sfumata, comprensibile solo nell’insieme, mai nel dettaglio.
Nell’insieme L’Arminuta è una storia sulla famiglia. Non quelle disfunzionali [separate e/o divorziate] a cui siamo abituati dai racconti, anche cinematografici, moderni. È una storia antica L’Arminuta, una specie di leggenda metropolitana. Almeno una volta nella vita ci è però capitata di sentirla.
Il titolo, termine dialettale traducibile in la ritornata, si riferisce alla protagonista, una tredicenne che, senza capirne la ragione, viene rimandata alla famiglia d’origine dopo essere vissuta fin da piccolina in una famiglia diversa che ha sempre creduto la sua. [Wikipedia]
Mentre cerca di capire come mai si ritrova in questa situazione paradossale, scopre che ci sono modi diversi di essere famiglia, fino a scoprire che la parola “famiglia” può essere anche solo racchiusa nella parola “sorella”.
La storia emoziona. Colpisce la dicotomia fra la madre naturale, mai chiamata per nome, e la donna che l’ha solo cresciuta, chiamata per nome dall’inizio fino alla fine. Così come ad alcuni personaggi viene dato il nome di battesimo, quasi a dargli una identità precisa, ad altri questo privilegio viene negato, come a lasciarli ai margini.
Sul finale ho asciugato qualche lacrima. Tutti ne escono colpiti e cambiati. Questa storia non ha redenzione per nessuno dei personaggi. Il finale, all’apparenza consolatorio, apre lo scenario ad un futuro difficile e problematico per tutti. E lascia in bocca il sapore di voler leggere ancora qualcosa in più.
Ce l’ho, devo ancora leggerlo; credo che sarà una lettura di febbraio: devo terminare La ferrovia sotterranea.
Poi mi racconti come ti sembra. Di solito non leggo mai nulla su un libro prima di leggerlo o di scriverne, per evitare di farmi influenzare. Dopo averlo letto ho “scoperto” che ha vinto il Premio Campiello. Insomma: mica cosa da poco.
Faccio lo stesso, di solito. Ha vinto pure il Premio Napoli