La fine dell’estate ha coinciso con un paio di novità: l’inizio della scuola materna, dopo due anni di nido, e la definitiva archiviazione del lettino con le sponde alte. Da tre anni e mezzo era sistemato in camera da letto, ai piedi del nostro lettone.
L’inizio della scuola materna è stata una “falsa” novità. Niccolò ha frequentato l’asilo nido da quando aveva un anno e mezzo. Tempo pieno, con pappa e nanna inclusa. Oltre al centro estivo per tutta la durata del mese di luglio. In pratica per due anni ha frequentato per undici mesi all’anno, al lordo delle malattie e delle ferie comandate. Il tutto senza mai dare segni di insofferenza o di disagio.
La faccenda del passaggio dal lettino sistemato ai piedi del letto matrimoniale alla sua cameretta, invece, non si è rivelata una vicenda facile da gestire.
Premessa: non sono una sostenitrice del metodo Estivill. Ovvero di quel metodo per far addormentare i bambini che suggerisce di:
- instaurare una routine prima della nanna;
- metterli nel loro lettino;
- uscire dalla stanza IMMEDIATAMENTE;
- se il bambino inizia a piangere, confortarlo senza prenderlo in braccio.
Mi raccomando però. Appena inizia a piangere [perché tanto lo farà] non scapicollarsi per andarlo a consolare, ma attendere prima 5 minuti, poi mano mano allungare sempre di più l’attesa.
Cosa otterrete? Che piangerà per un tempo variabile X, che potrà essere una notte, come dieci notti, ma poi di rassegnerà.
Come lo so? Vi ho appena raccontato di come sono diventata una mamma diversa da quella che mi è toccata in sorte.
Ci fu un’unica notte in cui, in preda ai sudori, piena di dubbi e a passo incerto, mi incamminai verso la camera dei miei genitori. Dormivo in compagnia di mia sorella, sul letto di sopra di un letto a castello. Scesi facendomi forza della luce notturna che mi indicava la porta della cameretta. Cuscino sotto braccio, esitai nel corridoio. Entrai sospinta dalla certezza di aver sentito un fruscio provenire proprio da sopra la mia spalla. Mia madre si accorse subito della mia presenza, e alla richiesta di poter dormire insieme a loro, seguì un rifiuto.
Credetemi. Non fu il rifiuto a ferirmi di più, e ad impedirmi di fare nuovamente quella richiesta. Né mia madre, né mio padre, alzarono la testa dal cuscino per chiedermi se stavo bene, o se avevo fatto un brutto sogno. Nessuno di loro due mi consolò.
Nonostante mia madre racconti una storia diversa, fra i miei [pochi] ricordi, quelli legati alle mie pratiche di addormentamento e alle mie notti sono veri e propri incubi. Ho ancora l’abitudine a dormire con la testa sotto le coperte, anche in piena estate. Avvolta nel lenzuolo, anche quando si boccheggia. Pur essendo consapevole che se esiste un mostro, non sarà certo una coperta a rendermi invisibile.
Ecco. Per questo, e solo per questo, con mio figlio ho seguito il mio cuore.
L’ho tenuto a letto con me fino al primo anno di età. Poi ho smesso di allattarlo, ed è passato nel suo lettino. Ora che dorme nella sua cameretta ho preso un letto da cui, in maniera autonoma, può salire e scendere. Ed è facile che la mattina, al mio risveglio, me lo ritrovi nel lettone.
Accorro da lui quando mi chiama.
Lo accolgo nel nostro lettone quando lo richiede. Perché sembra che accogliere il bambino nel proprio letto lo aiuti a superare l’ansia da separazione, e non è diseducativo.
Ho scoperto che ascoltando il mio cuore, in realtà ho adottato il metodo Montessori.
Ma come ho già scritto nel post Tienimi vicino mamma, […] a chi continua a dirmi che dormire nel lettone equivale ad un brutto vizio di cui mi pentirò, rispondo sempre: se a distanza di 13 anni anche il nostro gatto sente la necessità di dormire con noi significa che dormire tutti insieme proviene da un istinto naturale, difficile da controllare. […].
Oggi il gatto di anni ne ha 15, e ha cambiato letto. Ora dorme insieme a Niccolò.