Carnevale e la storia di Pik Badaluk

la storia di Pik Badaluk

Questo post avrei potuto intitolarlo: cosa non si fa per amore del proprio figlio.

Parteciperò alla recita scolastica che si terrà all’asilo nido in occasione del Carnevale, in cui insieme alle tate e ad altri genitori, porteremo in scena la storia di Pik Badaluk.
Non conoscevo questa storia: pubblicata per la prima volta nella sua edizione tedesca nel 1922, oggi è considerato un piccolo classico [fonte].
Le tate l’hanno scelta perché si sono accorte che fra tutte quelle raccontate, la storia del piccolo moro Pik è stata quella che ha maggiormente attirato la loro attenzione, riuscendo ad incollarli alla sedia, in silenzio.

Il racconto è breve e semplice: Pik Badaluk vive con il papà e la mamma in una casa circondata da un orto. Sua madre si raccomanda di non allontanarsi mai dal giardino, e di non avventurarsi nel bosco, dove vive un leone feroce che mangia i bambini. Pik Badaluk si dimentica subito della promessa fatta alla mamma e si avventura nella selva, dove incontra il feroce leone, pronto a fare un solo boccone del tenero moretto. Pik si rifugia su di un albero [n.d.r. l’albero è un melo con mele dolci e mature… sic]. Nel frattempo il papà, preoccupato per la sorte del figlio, col suono della tromba raduna i guerrieri della tribù dei badaluchi e organizza l’assalto al leone. La battaglia è aspra e l’animale nulla può contro lance, spade, bastoni e cannoni.
Queste le immagini presenti nel libro:

E qui inizia la parte divertente. Nel raccontare la storia le tate hanno sempre omesso questa ultima parte. E anche nella rappresentazione che andremo a mettere in scena, la tribù dei badalucchi non sarà armata. Al leone non sarà torto un solo pelo. Ci limiteremo a gridare – sciò sciò leone cattivo –

Scusate se sorrido e se la cosa mi sembra strana, per me bambina nata negli anni settanta del novecento. Mi hanno raccontato, e poi letto, di una nonna sbranata da un lupo a causa della disubbidienza di una bambina monella. Mi hanno raccontato di draghi che facevano un solo boccone di cavalieri che tentavano di salvare la principessa di turno. Di una strega che attirava bambini nella sua casa di marzapane per cuocerli al forno e poi cibarsene. Di un cacciatore che uccide un cerbiatto per estrarne il cuore, per ingannare una regina cattiva che in realtà voleva morta la sua figliastra. Di una bambina morta di freddo, dopo aver acceso tutti i suoi fiammiferi, che nessuno, la notte di Natale, aveva voluto comprare.
E potrei continuare a fare esempi di fiabe e favole dove l’elemento horror è una costante, utilizzato con intendimenti morali e ammaestrativi.

Non vi nascondo che anche io ho avuto difficoltà a raccontare a Niccolò la favola di Cappuccetto Rosso quando ho comprato le marionette.

Mamma, mi racconti una favola?

Una foto pubblicata da Marlene (@x_marlene_x) in data:


Arrivata al punto in cui dovevo descrivere il lupo cattivo e affamato di sangue, non sono riuscita a continuare. Pensavo ai poveri lupi, quelli veri, decimati e ormai in via di estinzione, e non me la sono sentita di alimentare un odio e una paura irrazionale verso un animale che, molto probabilmente, mio figlio non incontrerà mai.

Possiamo quindi considerare la fiaba e la favola un relitto culturale perché veicola insegnamenti antichi e non più attuali?
Benvenuti nel nuovo secolo dove invece le favole e le fiabe devono rispettare la natura, gli animali e la sensibilità dei nostri bambini.

Se vuoi comunque conoscere la storia di Pik Badaluk puoi comprarla qui

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