Sorprendente anomalia

lavorare da casa

È già passato un anno da quel colloquio di lavoro che mi aveva lasciato l’amaro in bocca. Avevo sbaragliato la concorrenza, ero piaciuta al responsabile, finalmente avrei avuto un posto di lavoro ad una distanza più umana da casa, basta con il pendolarismo e le tre ore di viaggio al giorno, basta spendere soldi in benzina e abbonamento.

E invece la doccia gelata: il mio stato di gravidanza aveva convinto tutti [me compresa] che non era il caso di iniziare quella nuova avventura. Ne avevo tirato fuori un post Non è un paese per donne che aveva raccolto commenti e giudizi e riflessioni su Facebook e in privato.

A distanza di circa un anno non solo ho ripreso a lavorare, ma sono rimasta a lavorare nella mia vecchia azienda, dove a quanto pare, si è invece verificata un’anomalia nel sistema donna-lavoro.

Per tre anni ho lavorato nella sede centrale di Bologna. Per me questo ha significato tre anni di pendolarismo: due mezzi, tre ore di viaggio minimo, a meno che scioperi, ritardi, soppressioni, corse senza fiato e treni persi non allungavano i tempi e aumentavano la mia voglia di scappare via. Quando a luglio, sommersa dalle nausee, che nella tratta Modena-Bologna, nel treno soprannominato carro bestiame diventavano ancora più insopportabili, avevo messo al corrente la DirettorA del mio stato di gravidanza, senza esitazioni né preghiere, mi aveva concesso di lavorare da casa per tutto il periodo estivo. A Settembre, sarei tornata a regime lavorando da casa, e rientrando in ufficio due volte la settimana. E così ho fatto, anche se qualche problema al naturale svolgimento della gravidanza mi ha poi costretta a dover rinunciare completamente al lavoro, ma questa è un’altra storia.

Allo scadere del periodo di maternità facoltativa, che dura solo tre mesi dopo la nascita del bambino [anche qui ne avrei di cose da scrivere, ma non è questa la storia che voglio raccontare] ho chiesto un appuntamento alla DirettorA per discutere i termini del mio rientro, ero pronta a contrattare nuovamente per il telelavoro e con la richiesta di flessibilità per i giorni deputati al mio rientro in ufficio. Volevo ancora [e in fondo dovevo] garantire la mia presenza almeno due volte a settimana in sede, a Bologna, ma avevo necessità che non fossero due giorni fissi la settimana in modo da potermi incastrare con i turni di lavoro del mio compagno e di mia cognata in modo da gestire il piccolo senza bisogno di spedirlo al nido a 4 mesi, senza tenere conto che nel mese di Luglio non avrei trovato un nido aperto nemmeno per necessità.
La vera, piacevole, sorprendente anomalia, si è verificata quel giorno di Maggio, quando all’appuntamento con la DirettorA ero andata timorosa ma decisa a comunicare il mio rientro dopo il periodo di maternità facoltativa, ovvero dopo ulteriori sei mesi, che in termini temporali significava rientrare con Gennaio, dopo averci attaccato anche un mese di ferie [maturate e non godute]. Ero pronta ad argomentare, giustificare, anche impietosire se necessario, ma non volevo assolutamente portare Lolò al nido in Settembre, a soli 7 mesi appena compiuti.

Non ho dovuto spendere una sola parola. Solo ascoltare la mia DirettorA che, da donna senza figli, mi diceva che non riteneva giusto che una persona come me stesse dietro solo a pappe e pannolini; che il mio bambino era importante, ma lavorare non mi avrebbe fatto perdere di vista me stessa; che avevo dovuto subire un cambiamento molto radicale della mia vita e rientrare a regime ridotto [grazie alle due ore di allattamento che spettano alle donne che decidono di rientrare senza usufruire della maternità facoltativa] mi avrebbe fatto rientrare gradualmente e senza troppi traumi all’interno della vita lavorativa.
E che non era necessario fare due rientri, ma ne bastava uno
E che non era necessario fare i rientri a Bologna, ma andava bene anche la sede di Modena. In un giorno a settimana che a me faceva più comodo.
E che aveva apprezzato il mio aver concluso un progetto a cui stavo lavorando prima di rimanere incinta, nonostante la maternità anticipata. E che per questo motivo mi aveva accordato una promozione e un premio.

Ora nonostante nelle graduatorie del nido fossimo rientrati e pieno titolo, abbiamo lasciato il posto ad un altro bambino. Lolò lo terrò con me, almeno per questo anno.
E non importa se qualche mattina fra il lavoro e la sua ricerca di attenzioni mi tocca fare i salti mortali carpiati doppi all’indietro, ogni volta mi dico che ho fatto la scelta giusta.

Però l’anno prossimo se al nido lo prendono, ad un anno e mezzo compiuti, lo mando a socializzare con gli altri bimbi. Parola di mamma.

Questo post partecipa al tema del mese di Novembre delle StorMoms

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7 commenti su “Sorprendente anomalia

    1. LaSam ho voluto sfruttare questo spazio per raccontare una storia positiva. So di essere stata particolarmente fortunata. Quando sento le storie delle altre donne mi sento la famosa eccezione che conferma la regola.

  1. Sei stata “particolarmente fortunata”, dici. Hai ragione. Eppure questa tua testimonianza lascia intravvedere che si può fare, che questa non sian solo una testimonianza “fortunata”, ma che possa diventare (e debba) lecita, normale, assodata. Io conto che ci arriveremo. E stimo molto la tua scelta di non mandare subito al nido tuo figlio. E’ questo tipo di scelta che va protetto e promosso, più dei sussidi per mandare i bimbi al nido a sei mesi.

    1. Pensieri rotondi credo esista un corto circuito fra le aziende e la loro produttività e le donne che decidono di fare figli. Quello che non capiscono è che una mamma serena è molto più produttiva. Mi sento fortunata perché ho sentito storie tremende. Mi sento fortunata perché una brutta storia è capitata anche a me. Però si, rifarei tutto daccapo.

Sono curiosa di sapere cosa ne pensi

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