Leggo l’ultima pagina di Statti attento da me e la prima cosa che penso è: ma cosa gli hanno fatto di male le donne all’autore?
I protagonisti del romanzo sono tutti uomini, vuoi per prossimità di genere, ovvero si racconta la cosa che si conosce meglio, vuoi proprio perché le donne nel microcosmo raccontato sono marginali. E quando diventano protagoniste sono insopportabili, stupide, prevedibili.
Il piccolo mondo di Amleto de Silva si muove fra disoccupati, microcriminalità [dis]organizzata, occupati nel mondo di un lavoro senza meritocrazia. Ci si riconosce tutto il peggio che la società televisiva dagli anni ’90 in poi è riuscita a sfornare. Tutti si sentono qualcuno, tutti vorrebbero essere qualcuno, tutti rimangono immersi in una specie di brodo: unto ma caldo e rassicurante. Critica la società dei consumi, quella che ci spinge a vivere al di sopra delle nostre disponibilità alla ricerca di non si sa bene quale benessere.
“Le grandi catene di elettrodomestici ti facevano sconti fino al venti per cento se accettavi di comprare a credito, cioè a rate, e la gente comprava enormi televisori al plasma già predisposti per l’alta definizione e poi si guardava Fiorello che diceva a Bisio beato te che non hai nemmeno un capello bianco”.
Ne ha anche con il mondo dell’informazione, vista come una macchina spara fango, capace solo di raccontare se stessa, talmente autoreferenziale da non capire davvero quello che succede nel mondo.
“Dopo la pubblicazione della sua foto sul giornale, sei anni prima, Giorgetto aveva lasciato gli studi, mollato senza una parola la fidanzata, aveva smesso completamente di uscire e giocava alla playstation accaventriquattro, e quando vide di nuovo la sua foto con la didascalia UN TREMENDO SEGRETO NEL PASSATO DEL FIGLIUOLO DELL’EX IMPIEGATO smise di anche di parlare, si coricò e non si alzò mai più dal letto.”
In cinque righe è riassunto il potere distruttivo dell’informazione data con superficialità, della notizia creata ad arte per montare “IL CASO” o solo per fidelizzare il lettore e vendere più copie. Spesso in nome del “diritto di cronaca” in realtà si distruggono persone e relazioni.
Non risparmia nessuno, non fa sconti, passa in rassegna ogni debolezza, ogni moda, ogni fissazione con sguardo cinico e disincantato.
Alcuni brani sono davvero esilaranti, ma per la maggior parte sono legati alla lingua partenopea. Quindi o ci si arma di buon amico autoctono, o si interroga continuamente l’oracolo Google per conoscere l’esatta sfumatura semantica di modi di dire, altrimenti incomprensibili.
Però non ho capito se ti è piaciuto o no. Mi sembra di cogliere più critiche negative che positive, però non ne sono certo.
Volevo essere neutra.
Ha molti pregi questo libro, e il primo in assoluto è quello di fotografare la contemporaneità. Ma si sa: raccontare e analizzare quello che è in divenire rende sempre una fotografia poco chiara, dai bordi sfumati.
Forse quello che stanca, alla lunga, è che non c’è redenzione per nessuno. O forse è proprio quello il suo pregio: nella vita vera spesso tutto cambia, per poi in realtà non cambiare niente. Seguendo anche l’autore su FB so che non fa finta di essere così corrosivo, lo è. E traspone questo suo modo di analizzare la fauna animal-umana nel suo racconto.
L’unica pecca vera è lo stile, a tratti totalmente immerso nello slang partenopeo da risultare incomprensibile per chi non è del posto.