Ho prestato per la prima volta la mia voce per commentare un video aziendale. Quando ho ricevuto il foglio con il testo con l’invito a leggerlo per “impararlo” ho sorriso.
E ho ricordato di quando mia madre voleva che io prendessi la licenza elementare in una scuola parificata, gestita da un ordine di suore. Lei e suo fratello avevano fatto le scuole elementari in quell’istituto, e ottenere la licenza elementare da loro garantiva grande considerazione in fase di iscrizione alle scuole medie. Le migliori famiglie manda[va]no i propri figli dalle suore, e per lei appena tornata al paesello dopo un’assenza di 15 anni era un buon biglietto da visita barattare sua figlia in cambio di un ingresso nella comunità.
Le suore mi invitarono in un caldo giorno di giugno, a fine anno scolastico, per una audizione. Non era un esame di ingresso, era una vera e propria audizione. In piedi, davanti alla loro splendida quarta elementare, dovevo leggere ad alta voce il testo di una lettura che loro avevano avuto come compito a casa il giorno prima. Nonostante il caldo l’aula era fresca, eravamo pur sempre in un convento. La suora aveva un viso angelico ma occhi duri, inflessibili. I bambini ingessati nei loro grembiuli neri senza fiocco e la paura negli occhi alla richiesta di verifica, soprattutto della riga di legno pronta ad abbattersi sulle loro mani se i compiti non erano stati svolti in maniera eccelsa.
Prima di me un bambino aveva letto inciampando nelle doppie, rallentando troppo sulle virgole, senza intonazione e senza capire bene il compito assegnato per casa. Poi era toccato a me. Allora ero ancora una bambina estroversa e poco problematica. Andai alla cattedra immensa e nera, salì sul palchetto, perché la cattedra era posizionata su un vero e proprio palchetto, e lessi per la prima volta una intera pagina su di un sussidiario che non avevo mai visto.
Voce alta, intonazione perfetta, e commento finale.
La suora mise in castigo dietro la lavagna il malcapitato bambino che aveva eseguito un pessimo compito prima di me. Urlò che non era possibile che una bambina che arrivava da una scuola statale fosse più in gamba di tutti loro messi insieme. Mi congedò con un sorriso mefistofelico e lo sguardo furente.
Nonostante l’ottima lettera di referenze della mia ex-maestra e la splendida audizione, le suore non mi hanno ammesso alla loro esclusivissima scuola di paese, con grosso sdegno di mia madre, e gran gioia di mio padre, e ho finito per completare la scuola elementare in un’affollata quinta elementare di una normalissima, e onestissima, scuola elementare statale. Con un bel grembiule blu e il fiocco bianco.
sei stata davvero fortunata !!!! pensa se ti ammettevano ed eri costretta ad andare a scuola dalle suore !!!!! Che disgrazia immane !!!!!! Mai e poi mai avrei fatto fare le scuole a mia figlia in un istituto privato, sia esso religioso oppure no ! Viva la scuola pubblica !!!!!! E se fossi al Governo toglierei tutti i sussidi previsti per la scuola privata ! Vuoi far fare la scuola privata a tuo figlio ??? Benissimo , ma non chiedere soldi a noi !!!!!!! Ma perche’ grembiule blu’ ??? Per le ragazze di solito era bianco con il fiocco rosa … perche’ si sa … le bambine sono ” sfizzzziose” !!!!! :-))
@diabolik sai com’è: il paese piccolo, la gente che parla. venivamo dal nord e ogni scusa era buona per [s]parlare di noi. mia mamma credeva di darmi una buona un’educazione, non migliore, che non ne avevo bisogno. il grembiule bianco con fiocco rosa lo avevo alle scuole elementari frequentate al nord, al sud il grembiule era blù sia per i maschietti che per le femminucce, e il fiocco cambiava colore a seconda della classe, ricordo che in prima era celeste, in quarta rosso e in quinta bianco…gli altri non li ricordo.
e comunque non ho assolutamente niente da recriminare all’istruzione che mi ha dato la cara, vecchia e ormai bistrattata scuola pubblica.