la bella lavanderina

lavatrice

La rottura della lavatrice mi ha catapultato in un film americano [o telefilm, scegliete voi].

Ogni settimana devo decidere in quale giorno svuotare il portabiancheria, armarmi di borse divise per colore, cesta e tanta pazienza per andare a chiudermi almeno due ore in una lavanderia a gettoni.
Proprio quelle che si vedono in tanti film americani, quelle che la mia [ex]amica, di ritorno da New York, mi confessò che facevano diventare tutti i bianchi grigi, e i colorati pure.

Già vedo le facce di disgusto, perché noi non siamo abituati a lavare le nostre cose in promiscuità.
Quello che va bene oltreoceano, qui suscita orrore.
E anche se racconto che dentro c’è una tipa che che tiene pulito, nel pensiero comune il concetto di “igiene” e “pulizia” non regge nemmeno nei lavaggi a 60° con due pastiglie di Napisan.

In realtà l’unica vero orrore è infilarmi nelle lenzuola pulite del letto di casa mia e sentire la puzza delle lenzuola da hotel, quelle lavate in serie, e dormire con la percezione di odore di vacanza nel naso e la sveglia sul comodino che suona alle 6.

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