cavoli a merenda

cavoli a merenda

Per mia madre non ha mai avuto importanza la tenperatura esterna o se fosse giorno oppure notte: la merenda si mangiava fuori, sul balcone. Anche solo una banana, chiudeva me e mia sorella sul balconcino della cucina e non si rientrava finchè non avevamo finito.

Quando abbiamo cambiato casa la cucina senza balcone ci ha costretto per anni a mangiare la brioches con la testa nel lavandino, attente a non far cadere nemmeno una briciola, facendomi rimpiangere anche il buio e freddo balconcino delle merende d’inverno alle 17 in piena pianura padana.

Quando cresciuta ho deciso che potevo anche fare a meno del rituale del lavandino, mia madre ha coniato la frase usata come mantra appena mi vedeva armeggiare in cucina: – e mitt’ nu zic è tavul –

Non aveva importanza se era un biscotto o avevo intenzione di affettare un intero chilo di pane e spalmarlo di nutella, era assolutamente vietato cibarsi senza mettere una tovaglietta sul tavolo in modo da recuperare tutte le briciole in un colpo solo. La forza di persuasione di mia madre mi ha talmente condizionata che non mangio mai senza apparecchiare quel “zico di tavola” della mia adolescenza.

Ma a distanza di 15 anni senza di lei, dopo una sveglia all’alba, una mattinata passata insieme ai montatori delle porte nuove, una pulizia sommaria, dopo aver sistemato la tovaglietta, e incurante della voce di mia madre che mi rimproverava da molto lontano, ho mangiato la jocca direttamente dallo scatolo sgranocchiando il pane comodamente stravaccata sul mio divano.

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