Ogni volta che faccio il check-in all’aeroporto di Bologna provo irrefrenabile l’impulso di prendere un taxi, tornare a casa e ritardare il volo. Di solito. Adesso l’istinto è lo stesso anche se so dove sto andando. È bastato un SMS ed eccomi pronta a colmare distanza e anni. Quanti ne sono passati? Non ha avuto importanza. Il numero di cellulare è rimasto quello del primo acquisto, non l’ho mai cambiato non per convenienza ma solo per pigrizia e lui ci ha provato: “TI AUGURO UNO SPLENDIDO 2008”. Solo poche parole, un innocuo augurio che ha spalancato un mondo di sensazioni e possibilità. Avevo coccolato quel messaggio immaginando il momento in cui lo aveva digitato, fantasticando sulle motivazioni che lo avevano spinto a ricomparire nonostante quella a sparire fossi stata io.
Sparita è il termine corretto per definire la fine di una relazione andata avanti per anni senza costruire muri caldi in cui riposare, senza mettere steccati che impedissero ad altri di entrare in quella che non definivamo la nostra proprietà, ma solo la nostra ricchezza. Un po’ gelosia, qualche scenata, ma faceva parte del gioco. Una settimana appiccicati e mesi senza vedersi, per poi ricomparire nel modo più normale possibile e senza fare domande e senza chiedere spiegazioni frequentarsi fino alla prossima pausa. E in una di questi momenti di riflessione io non ero tornata più indietro. Avevo messo in primo piano la carriera e centinaia di chilometri fra noi. Senza un saluto, senza nessuna spiegazione, che di spiegazioni ce n’eravamo date sempre tanto poche e ci eravamo sempre capiti benissimo.
Guardo le vetrine dei negozi che conosco a memoria con la stupida necessità di non arrivare all’appuntamento a mani vuote. Ma l’aeroporto è sempre quello, e allora ripiego su dei cioccolatini,
– per addolcirti –
gli dirò.
Nonostante viaggi continuamente il decollo mi fa sempre il solito effetto tremarella: si alzerà, non si alzerà, ce la farà anche stavolta a battere tutte le leggi della fisica e spiccare il volo?
Non ci voglio pensare e allora mi estraneo e volo oltre la distanza.
Ci siamo dati appuntamento al solito posto: sotto i portici del teatro Verdi, in via Roma, alle spalle del lungomare, in centro città. Dove ci incontravamo sempre, anche se non volevamo, anche se non ci si metteva d’accordo. Io ero lì in pianta stabile, con i miei film, le mie rassegne, le mie passioni. E lui veniva fin là, dando poi la colpa al caso.
Non era mai stato romantico e non credo che il tempo lo abbia cambiato, e allora cammineremo vicini sfiorandoci le mani senza prendere in carico la sicurezza dell’altro, che noi non siamo mai stati prudenti.
Passeggeremo sul lungomare affollato di gente e bancarelle, che degrada da un lato verso le spiagge e dall’altro ha la vista chiusa dalle rocce della costiera amalfitana. Ci siederemo sulla spiaggetta al limitare del porto per guardare il sole che si tuffa nel mare. Era una cosa che facevamo spesso: dal tramonto all’alba, alla luce del sole qualsiasi fosse il motivo per cui sembrava non potessimo fare a meno l’uno dell’altra, svaniva.
Con il primo buio mi porterai a prendere il solito caffè nei vicoli della città vecchia: via dei Mercanti, via Dogana Vecchia e qui, sotto il portico, vicino a quel negozietto pieno di cianfrusaglie e odore forte di incenso e spezie, mi bacerai. So che stavolta lo farai, non avrai timore del mio giudizio. Ricordi cosa ti dissi la prima volta?
– La prossima volta ti porto nel parcheggio dell’università –
– Per vantarti? –
– No. Per prendere un cric e aprirti la bocca –
Era per questo che ti ero piaciuta: così fragile alla vista, anche noiosa, ma forte dentro.
E ironica.
Atterro. Il solito effetto risucchio che mi dà l’impressione di diventare tutt’uno con il sediolino. L’aeroporto di Napoli squallido come sempre e il mio taxi è in ritardo. Ti avviso con un SMS
– Sono in ritardo ma stavolta non è colpa mia –
È l’imbrunire quando imbocco la rampa che mi fa entrare in città da via Irno, tiro giù il finestrino, le prime luci accese, il traffico caotico del sabato sera, respiro forte l’odore del mare. Il cielo all’imbrunire si incendia dove il mare si confonde con il cielo, colorando una striscia di rosso e arancio che illumina ancora per un po’ il Concord, la nave ristorante retrò e demodè.
Eccomi. Teatro Verdi, un po’ più vecchio del mio ultimo ricordo, i tacchi emettono una strana eco. Li ho messi solo per cercare di essere alla tua altezza, per dimostrarti che sono cresciuta anche io, che non sono più la ragazza che faceva la forte giocando con la sua ironia e nascondendo la sua insicurezza.
Quella che riappare all’improvviso quando mi rendo conto che quello in ritardo stasera sei tu.
E capisco che non arriverai.
A volte è autolesionismo… a volte è solo inconcepibile l’idea di non poter provare più quel calore che tu sai essere così forte.
A volte c’è solo l’illusione che una magia spezzi la maledizione del tempo che passa e che ci faccia tornare com’eravamo… scemi, giovani e immortali.
bisognerebbe smetterla di guardare indietro, che poi non si sta attenti a dove si mettono i piedi e si rischia di inciampare. diciamo che scriverlo mi mette al riparo da eventuali danni reali.