Il titolo originale Seven pounds è stato scelto citando l’opera di Shakespeare Il mercante di Venezia.
In quest’opera teatrale il protagonista in cambio di un prestito accetta come garanzia di restituire in caso di mancato pagamento, una libbra della sua carne. Peccato per la traduzione che sposta l’attenzione dal sacrificio per espiazione del protagonista alle persone che riuscirà a salvare grazie a questo gesto.
Tim, un affermato ingegnere aero-spaziale, prende in prestito l’identità del fratello esattore delle tasse per conoscere meglio le persone a cui donerà letteralmente se stesso, per poter espiare la colpa di essere la causa di un incidente in cui hanno perso la vita sette persone.
La storia è ben raccontata, ci vuole un bel po’ prima di capire le intenzioni e le motivazioni, e ben recitata. Gli attori credibili, i primi piani struggenti, le storie rese con delicata tristezza.
Muccino racconta di malattia, sofferenza, suicidio, donazione di organi, ma anche di amore, sacrificio, speranza nel futuro.
Capisco le polemiche sulla spettacolarizzazione e di conseguenza una sorta di sdoganamento su di un gesto forte come il suicidio, che in una cultura prevalentemente cattolica come la nostra destina il soggetto al fuoco dell’inferno (che brucia in eterno senza consumare ma regalando sofferenza per l’eternità). Ma non stiamo guardando un documentario. Stiamo ascoltando una storia, e come tutte le storie ha bisogno di passaggi forti per distinguesi dal resto e farsi ascoltare. Dall’altra ha bisogno di sorvolare su aspetti realistici come la prassi giudiziaria per poter lanciare un messaggio a mio avviso importante, banale ma spesso dimenticato.
I gesti di bontà e cortesia fatti senza aspettarsi nulla in cambio creano intorno a chi li compie un vortice di positività che rende la vita migliore.
Sono contenta di averlo visto, anche perchè spero che specchietti per le allodole come “il nuovo lavoro americano di Muccino” sbandierato da tutti i media e la presenza di Will Smith attiri nelle sale tutte quelle persone che hanno paura della donazioni di organi.
Come se portarsi tutto nella tomba possa permetterci di ritornare, un po’ come credevano gli egiziani.
La visione del film mi suggerisce anche un’altro tipo di riflessione. Continua a rafforzarsi in me l’idea che siamo il paese delle contraddizioni e dell’incoerenza: non abbiamo il coraggio di puntare sulle potenzialità artistiche e intellettuali dei nostri connazionali, in Italia non si sarebbe mai prodotta una storia con queste tematiche e dal finale amaro degno dei migliori film neorealisti italiani, tutti a criticare l’impostazione troppo americana del film, ma se si voleva una storia italiana forse si dovrebbe permettere a certe storie di essere raccontate e confezionate in patria.
E se lo trovate troppo melenso, troppo melodrammatico, insomma “troppo”, la prossima volta andate a vedere Natale a Rio, almeno vi fate due risate.
>>”E se lo trovate troppo melenso, troppo melodrammatico, insomma “troppo”, la prossima volta andate a vedere “Natale a Rio”, almeno vi fate due risate.”
Trovo questa affermazione un tantino tendenziosa se non irriverente nei confronti di quelle persone cui il film di Muccino non è piaciuto. Io sono uno di quelli.
A me “Sette anime” non è piaciuto per svariati motivi che non sto qui ad enucleare però non è piaciuto nemmeno “Natale a Rio” nonostante l’abbia visto il 26 dicembre, spettacolo di mezzanotte, dopo aver scherzato con gli amici in una tiepida serata passata davanti al caminetto. E mi sono fatto non due, ma quattro risate. Però “Sette anime” non lo rivedrei mai. Sono un sempliciotto? Dal canto mio credo di no.
Nella mia videoteca c’è la trilogia (Film Bianco, Film rosso, Film Blu) ed il Decalogo di Kieslowski, amo i film di Kurosawa e di Olmi (Lunga vita alla signora!), Jules and Jim di Truffaut, una collana di cortometraggi sull’esistenzialismo francese. Ma non mi è piaciuto “Sette anime”. Vedi cara Marlene è tutto relativo e provvisorio. Ho sempre guardato con diffidenza chi vuole giocare sempre a fare la maestrina di turno e chi vuole dire cosa è bello e cosa è brutto o cosa fa pensare e cosa è spazzatura.
Certamente “Natale a Rio” è un film leggero e commerciale, ma “Sette anime” è un film che non ha anima, non trasmette nulla, è noioso.
Preferisco ridere con un film commerciale, almeno le risate sono vere.
Saluti
Ettore
Ettore non ho mai desiderato fare la maestrina, neanche nella vita reale, nonostante mamma abbia spinto affinchè facessi il concorso. e soprattutto non utilizzo i film che vedo per denotare il mio carattere, e ancora meno quello degli altri. anzi: se guardi indietro vedrai che non mi perdo una sola visione di film spettacolari pieni di super-eroi. e li guardo al cinema, spendendo dei soldi, perchè secondo me gli effetti speciali così rendono meglio. l’ultima frase mi spiace se ti ha colpito, ma era la fine forse troppo sbrigativa e lapidaria di un discorso un po’ più articolato che mi sembra tu abbia saltato a piè pari: cioè che un italiano se vuole fare un film un tantinello diverso ed essere messo in prima pagina deve farsi finanziare dagli americani. e fare un bel polpettone americano, dal gusto amaro, ma autentico.