Ho letto nei giorni scorsi un articolo che parlava dell’aumento dell’omofobia in Italia e che un giornalista della RAI si è dichiarato e ha confessato di essere gay.
Leggendo questi articolo mi sono ricordata di Emilio e del fatto che non sono ancora del tutto sicura che lui sia gay.
Ma vado all’inizio.
Emilio si è fatto conoscere una serata in discoteca. Mercoledì sera, serata universitaria, imperdibile come tutti i mercoledì.
Io sono li che mi dimeno in pista incollata alla mia amica, nonché coinquilina, e un gruppetto di ragazzi si avvicina, inizia a ballare vicino a noi, invade un po’ il nostro spazio, uno ci chiede se abbiamo da accendere. Nulla di strano, nulla di nuovo. Tecniche di adescamento che si mettono in atto continuamente. Però uno di loro si siede su un palchetto che c’è vicino a noi, e mentre i suoi amici danno inizio a contorsionismi sempre più complicati per farsi notare, lui si siede e guarda.
Guarda, e guarda solo me.
Non la mia amica, non le ragazze intorno.
Solo me.
Io faccio finta di niente, si stancherà, penso. Però a questo punto lo osservo anche io. Ha gli occhioni grandi e dall’espressione dolce, è alto, troppo per me, ha le mani grandi, è vestito un po’ alla Kurt Cobain, trasandato ma ricercato. Mi accendo una sigaretta e mi muovo con senso di sfida. E lui continua solo a guardare. E poi ci casco.
Mi avvicino: – Cosa hai da guardare?-
Risposta: – Ti sei mai vista allo specchio?-
Mi ha fregata. Iniziamo a parlare. Mi offre da bere. E la prima cosa che fa è scusarsi perché io studio all’università e lui ha solo la terza media. Ma ha un bel modo di parlare, di muoversi. E poi arriva diretto: -ho le chiavi della casa a mare e la macchina qui fuori: vuoi passare la notte con me?-
Non posso negare che ha un certo effetto su di me, ma mi nego: -ho una storia importante, non ne vale la pena di buttarla via con te che neanche conosco-
La serata scivola via. Lui continua ad essere sciocco e romantico. Ci salutiamo. Senza neanche lasciarci un numero di telefono. Unico indizio che ha di me è il quartiere dove vivo. Credo anche di avergli dato uno dei tanti pseudonimi dietro cui nascondo la mia vita.
Poi venerdì pomeriggio torno a casa dopo aver seguito una noiosissima lezione universitaria e lui è lì, sulle scale di casa che mi aspetta. La mia coinquilina sbava: – a me non e mai successa una cosa così-
E inizia un’amicizia strana.
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Un lungo post, tanti spunti, ma una parola sola, quella che conclude il tuo scritto, “strana” dietro alla quale si nascondono tante riflessioni e tanti dubbi che non sei riuscita a condividere… Non e’ questione di dettagli o di particolari, ma di importanza e di sensazioni.
la storia continua, stanotte non era il caso di scrivere ancora. ho tirato un attimo il fiato per mettere in fila e con senso le parole per raccontare.
è terapeutico il blog.
Un po’ come un lettino su cui distendersi e raccontare?
il mio non aveva il lettino, aveva una poltrona enorme e comoda, con anche la coperta sotto cui ritrovare un po’ di calore 🙂
sei sicura che quello fosse davvero un dottore? 😉